La carneficina sull’Ortigara: i gravi errori degli alti comandi

Nello svolgimento dei sanguinosissimi scontri che hanno visto così duramente provati i reparti italiani nel tentativo di prendere l’Ortigara, i gravi e spesso banali errori degli alti comandi non si sono contati, ed hanno causato un ingentissimo numero di perdite tra i nostri soldati, oltre ad averne gravemente fiaccato il morale e la combattività, vedendosi costretti ad intraprendere azioni che chiunque avesse avuto cognizione di causa sulla effettiva situazione sul campo, avrebbe intuito quanto scarse fossero le possibilità di riuscita e del costo che ne sarebbe conseguito in termini di caduti.

Innanzitutto non si è tenuto conto che l’avvallamento che separava le posizioni italiane da quelle austriache al momento dell’inizio della battaglia, esponeva i nostri reparti avanzanti allo scoperto al tiro incrociato da parte delle artiglierie e delle mitragliatrici nemiche, regolarmente appostate su posizioni dominanti l’avvallamento stesso. L’azione distruttrice delle nostre artiglierie, che aveva aperto solo pochi varchi in ben precisi punti delle difese nemiche, ha grandemente favorito l’avversario, il quale ha saputo fin da subito i punti in cui concentrare il tiro di sbarramento, che ha causato ai nostri reparti gravissime perdite ancor prima che si entrasse in contatto col nemico, arroccato a difesa di trincee scavate nella roccia costituenti un labirinto di postazioni per mitragliatrici perfettamente celate alla vista dell’attaccante. Le gravissime perdite subite dai nostri battaglioni fin dalle primissime fasi della battaglia, avrebbero dovuto far intuire ai nostri comandi come le già scarse possibilità di riuscita conquista degli obiettivi prefissati potevano realizzarsi solo con costi enormemente sproporzionati, e ne sarebbe dovuta scaturire una seria considerazione di sospensione della battaglia; al contrario, le precarie e scarsamente difendibili posizioni conquistate sono state continuamente ammassate da rincalzi per sostenerne la difesa, cosa che non ha fatto altro che moltiplicare le già ingenti perdite dato che tali posizioni venivano facilmente bersagliate dall’artiglieria austriaca. Nel fallimento dell’offensiva i generali Mambretti (comandante della 6a armata) e Montuori (comandante del XX° corpo d’armata) vanno ritenuti gravemente responsabili: gli insuccessi delle prime fasi della battaglia, con i relativi tragici bilanci in termini di caduti, avrebbero dovuto servire da lezione, ma nulla è stato appreso dall’esperienza e i bilanci sono divenuti ancor più tragici data l’ostinazione nel voler proseguire in un’azione che non aveva alcuna oggettiva possibilità di successo dato l’assetto tattico del fronte, come ribadito più volte dai rapporti dei comandi di brigata e di battaglione. Dei 25.199 italiani caduti in questa carneficina, i due terzi (soprattutto alpini) si contano su un fronte di appena 2 Km, e molti battaglioni hanno registrato più del 70% delle perite.

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