L’austria Ungheria presenta l’offerta e Salandra rassegna le dimissioni

L’offerta d’Austria-Ungheria portata al Ministro Sonnino – Il Consiglio dei Ministri rifiuta l’offerta – Manifestazioni a Milano e Roma – Il discorso di Mussolini e quello di D’Annunzio – Manifestazioni contro Giolitti – Le dimissioni di Salandra

Le voci di corridoio di ieri sono confermate: la delegazione guidata dal Principe Bulow ha presentato per conto dell’Austria-Ungheria le offerte all’Italia.

Si tratterebbe di concessioni territoriali che riguarderebbero sopratutto l’istria e Trieste, nonchè l’egemonia dell’Italia sull’Albania nel tentativo di bilanciare gli interessi nei Balcani. Alla Germania verrebbe affidata la posizione di arbitro nei confronti di Italia e Austria-Ungheria.

Fonti vicine al Ministero confermano la bontà delle offerte anche se una delle obiezioni subito avanzate dagli interventisti è la mancanza di garanzie sui tempi e le modalità di attuazione del piano in caso di accettazione da parte dell’Italia. “Non cederanno nemmeno un albero”, dicono in molti cercando di soffiare sul fuoco.

Il Consiglio dei Ministri ha rigettato l’offerta Austro-Ungarica alla maggioranza ma molti hanno ritenuto necessario un passaggio in parlamento per discutere la questione.

Ma se la voce neutralista è davvero maggioranza in parlamento – cosa per altro da verificare – il popolo sembra di diverso avviso. Nella serata di ieri centinaia di manifestanti hanno sfilato per le vie di Milano fino a riunirsi sotto il consolato Germanico per contestare le autorità diplomatiche di Berlino. Il gruppo, sempre più numeroso e vivace, si è poi diretto sotto la sede del Corriere della Sera dove Filippo Corridoni ha arringato la folla. Successivamente i manifestanti si sono recati davanti alla sede de “Il Popolo d’Italia” dove Benito Mussolini, richiamato dagli schiamazzi, si è affacciato e ha colto l’occasione per un breve discorso che così si è concluso:

Io condivido pienamente la vostra indignazione profonda per le notizie pervenute da Roma. Sembra che, complice Giovanni Giolitti, si mercanteggi nel modo più abbietto l’avvenire d’Italia. Cittadini! Permetteremo noi che il turpe mercato si compia?… Permetteremo che -secondo le notizie che giungono da Roma, -si riesca a rovesciare il ministero Salandra ed evitare l’intervento, che solo può compiere i destini d’Italia? Cittadini!… Se l’Italia non avrà la guerra alla frontiera, essa avrà fatalmente, inevitabilmente la guerra interna! E la guerra civile vuol dire la rivoluzione. Cittadini ! Gridiamo ancora una volta qui: Viva la guerra liberatrice !”

Anche nelle vie di Roma il fermento interventista non ha conosciuto pace. Nel pomeriggio di oggi D’Annunzio è giunto a roma e, stabilitosi nell’Hotel Regina, ha indirizzato queste parole alla folla accorsa ad acclamarlo:

Romani, Italiani, fratelli di fede e d’ansia, amici miei nuovi e compagni miei d’un tempo, non a me questo saluto d’ardente gentilezza, di generoso riconoscimento. Non me che ritorno voi salutate, io lo so, ma lo spirito che mi conduce, ma l’amore che mi possiede, ma l’idea che io servo. Il vostro grido mi sorpassa, va più alto. Io vi porto il messaggio di Quarto, che non è se non un messaggio romano alla Roma di Villa Spada e del Vascello.
Dalle mura Aureliane stasera la luce non s’ è partita, non si parte. Il chiarore s’indugia a San Pancrazio. Or è sessantasei anni (contrapponiamo la gloria all’onta) in questo giorno, il Duce di uomini riconduceva da Palestrina in Roma la sua Legione predestinata ai miracoli di giugno. Or è cinquantacinque anni (contrapponiamo l’eroismo alla pusillanimità), in questa sera, in quest’ora stessa, i Mille, in marcia da Marsala verso Salemi, sostavano; e a pie’ dei lor fasci d’armi mangiavano il loro pane e in silenzio s’addormentavano.
Avevano in cuore le stelle e la parola del Duce, che è pur viva e imperiosa oggi a noi: “Se saremo tutti uniti, sarà facile il nostro assunto. Dunque all’armi !”.
Era il proclama di Marsala; e diceva ancora, con rude minaccia: ” “Chi non s’arma è un vile o un traditore”.
Non stamperebbe dell’uno e dell’altro marchio, Egli il Liberatore, se discendere potesse dal Gianicolo alla bassura, non infamerebbe Egli così quanti oggi in palese o in segreto lavorano a disarmare l’Italia, a svergognare la Patria, a ricacciarla nella condizione servile, a rinchiodarla su la sua croce, o a lasciarla agonizzare in quel suo letto che già talvolta ci parve una sepoltura senza coperchio
C’ è chi mette cinquant’anni a morire nel suo letto. C’ è chi mette cinquant’anni a compiere nel suo letto il suo disfacimento. È possibile che noi lasciamo imporre dagli stranieri di dentro e di fuori, dai nemici domestici e intrusi, questo genere di morte alla nazione che ieri, con un fremito di potenza, sollevò sopra il suo mare il simulacro del suo più fiero mito, la statua della sua volontà romana, o cittadini?
Come ieri l’orgoglio d’Italia era tutto volto a Roma, così oggi a Roma è volta l’angoscia d’Italia, che da tre giorni non so che odore di tradimento ricomincia a soffocarci.
No, noi non siamo, noi non vogliamo essere un museo, un albergo, una villeggiatura, un orizzonte ridipinto col blu di Prussia per le lune di miele internazionali, un mercato dilettoso ove si compra e si vende, si froda e si baratta.
Il nostro Genio ci chiama a porre la nostra impronta su la materia rifusa e confusa del nuovo mondo. Ripassa nel nostro cielo quel soffio che spira nelle terzine prodigiose in cui Dante rappresenta il volo dell’aquila romana, o cittadini, il volo dell’aquila vostra.
Che la forza e lo sdegno di Roma rovescino alfine i banchi dei barattieri e dei falsari. Che Roma ritrovi nel Foro l’ardimento cesariano. “II dado è tratto”. Gettato è il dado su la rossa tavola della terra.
Il fuoco di Vesta, o Romani, io lo vidi ieri ardere nelle grandi acciaierie liguri,
nelle fucine che vampeggiano di giorno e di notte, senza tregua. L’acqua di Giuturna, o Romani, io la vidi ieri colare a temprar piastre, a raffreddar le frese che lavorano l’anima dei cannoni.
L’Italia s’arma, e non per la parata burlesca ma pel combattimento severo. Ode da troppo tempo il lagno di chi laggiù oggi soffre la fame del corpo, la fame dell’anima, lo stupro obbrobrioso, tutti gli strazi.
Calpesta dal barbaro atroce,o madre che dormi, ti chiamauna figlia che gronda di sangue.
Or è cinquantacinque anni, in questa sera, in quest’ora stessa, i Mille s’addormentavano per risvegliarsi all’alba e per andare avanti, sempre avanti, non contro il destino, ma verso il destino, che ai puri occhi loro faceva con la luce una sola bellezza.
Si risvegli Roma domani nel sole della sua necessità, e getti il grido del suo diritto, il grido della sua giustizia, il grido della sua rivendicazione, che tutta la terra attende, collegata contro la barbarie.

Dov’ è la Vittoria ? chiedeva il poeta giovinetto caduto sotto le vostre mura, mentre anelava di poter morire su l’alpe orientale, in faccia all’Austriaco.
O giovinezza di Roma, credi in ciò che ei credette; credi, sopra tutto e sopra tutti, contro tutti e contro tutto, che veramente Iddio creò schiava di Roma la Vittoria.
Com’ è romano forti cose operare e patire, così è romano vincere e vivere nella vita eterna della Patria.
Spazzate dunque, spazzate tutte le lordure, ricacciate nella Cloaca tutte le putredini !
Viva Roma senza onta! Viva la grande e pura Italia!”

Si sono allora verificati alcuni eccessi quando alcuni dimostranti interventisti hanno cercato di raggiungere la dimora di Giolitti per manifestare la propria contrarietà alla politica dell’Onorevole. Le forze di polizia hanno scongiurato il peggio e il corteo si è quindi diretto verso l’abitazione dell’Onorevole Salandra dove a migliaia hanno applaudito il politico e hanno urlato il proprio appoggio all’azione di Governo.

Per solidarietà di fronte al tentativo di manifestazione, oltre 400 parlamentari tra deputati e senatori hanno recato visita all’Onorevole Giolitti lasciando dei biglietti alla portineria. E pare che sia stato proprio questo gesto, compiuto per altro da molti parlamentari sul cui voto si basa il Governo di Salandra, a spingere il Consiglio dei Ministri in riunione d’emergenza a votare all’unanimità le dimissioni che sono state consegnate dallo stesso Salandra a Sua Maestà il Re.

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