Continuano i bombardamenti a Belgrado

Secondo giorno di bombardamenti – Il ponte sul Danubio danneggiato ma non distrutto – Pesanti perdite Serbe – Il proclama dell’Imperatore Austro-Ungarico

Sono ripresi e continuano i bombardamenti della capitale Serba da parte di tre monitori Austro-Ungarici. Il bersaglio principale dell’artiglieria Imperiale in questo giorno è stato il palazzo della Dongana e un deposito di munizioni. I colpi sono caduti anche su l’albergo Mosca e una scuola nonchè su diverse abitazioni civili causando incendi e gravi danni.

Fonti Austro-Ungariche smentiscono la distruzione del ponte tra Semlino e Belgrado. Il dispaccio ufficiale racconta di come un distaccamento Imperiale stesse per varcare il ponte e conquistare l’altra riva quando un gruppo di genieri serbi ha fatto detonare le cariche d’esplosivo mettendo in fuga – senza infliggere perdite – il reparto attaccante. Il ponte però, benchè in parte danneggiato, sarebbe ancora agibile. Per tanto nella notte successiva e per tutta la mattina di oggi, i Serbi avrebbero cercato di distruggere definitivamente il ponte con cannoneggiamenti che sono risultati inefficaci. Il passaggio è quindi ancora utilizzabile dalle truppe Austro-Ungariche che si stanno concentrando e preparando all’attacco.

Secondo i bollettini ufficiali Serbi, la prima vittima del conflitto sarebbe un studente di 16 anni, Dušan Đonović, arruolatosi nelle milizie serbe come volontario. Il giovane sarebbe stato raggiunto da una granata sparata dai monitori Austro-Ungarici durante la notte del 28 luglio e ucciso sul colpo. In tutta Belgrado decine di persone – tra cui molti civili – sono rimaste uccise o ferite.

L’Imperatore Francesco Giuseppe ha emanato il presente proclama:

“In questa grave ora sento il bisogno di rivlgermi ai miei bene amati popoli. Vi incarico, perciò, di pubblicare il seguente proclama; Ai miei popoli! Il mio più ardente desiderio era il consacrare gli anni che mi sono ancora destinati dalla grazia di Dio alle opere di pace e di preservare i miei popoli dai gravi sacrifici e dal pesi della guerra. La Provvidenza ha altrimenti dciso. Le mene di un avversario pieno di odio, mi obbligano, dopo numerosi anni di pace, a prendere la spada per tutelare l’onore della mia Monarchia, per la protezione del suo prestigio, della sua posizione, della sua potenza, e per la sicurezza dei miei possedimenti.

Con ingratitudine e con pronto oblio, il Regno di Serbia, che fu dai miei antenati appoggiato e favorito sin dai primi istanti della sua indipendenza e della sua vita, r da me in tempi più recenti, è entrato da anni in una via di aperte ostilità contro l’Austria-Ungheria.

Quando, dopo trenta anni di un’opera pacifica in Bosnia e Erzegovina, io estesi i miei diritti di sovranità in questi paesi, tale misura produsse nel Regno di Serbia, i cui diritti non furono affatto violati, lo scoppio di una passione sfrenata, dell’odio più accanito. Il mio Governo fece allora uso del bel privilegio del più forte, e, ispirato da estrema indulgenza e clemenza, chiese alla Serbia soltanto la riduzione del suo Esercito sull’effettivo di pace, nonché la promessa di seguire in avvenire la via della pace e dell’amicizia.

Il mio Governo, ispirato dallo etesso spirito di moderazione, si limitò alla tutela delle condizioni più importanti di vita della Monarchia, quando la Serbia, due anni or sono, si trovò in lotta con l’Impero ottomano.

E’ questa attitudine che la Serbia ha sopratutto dovuto di avere potuto raggiungere lo scopo della guerra.

La speranza che il Regno di Serbia apprezzasse la longanimità e l’amore per la pace del mio Governo, e mantenesse la sua parola, non si è realizzata. L’odio contro di me e la mia Casa, si è sempre più infiammato e sempre più chiaramente si è manifestato. Gli sforzi di strappare con la violenza territori inseparabili dall’Austria Ungheria e le mene criminose passarono la frontiera per calpestare la base dell’ordine dello Stato nel sud-est della Monarchia; per scuotere la sua fedeltà alla Dinastia e alla Patria, alla quale io ho consacrato con amore paterno la mia piena sollecitudine, per sviare la gioventù adolescente e istigarla ad atti scellerati di demenza e di alto tradimento e ad una serie di attentati. Una cospirazione, preparata e eseguita metodicamente, il cui spaventevole successo colpi al cuore me e il mio popolo fedele, forma la traccia sanguinosa ben visibile di queste segrete macchinazioni che furono poste in opera e condotte dalla Serbia.

Bisogna por termine a queste mene insopportabili; bisogna far cessare le continue provocazioni della Serbia, se l’onorae e la dignità della mia Monarchia devono restare intatti, e se il suo sviluppo politico, economioo e militare deve essere, preservato da continue scosse.

Invano il mio Governo intraprese anche un ultimo tentativo per ottenere questo scopo con mezzi pacifici, per indurre la Serbia a ravvedersi con un serio avvertimento. La Serbia respinse le moderate e giuste domande del mio Governo, e rifiutò di adempiere ai doveri, il cui compimento forma la vita dei popoli e degli Stati, la base naturale e necessaria della pace.

Io devo dunque procedere ora con la forza delle armi quelle indispensabili garanzie, che devono assicurare ai miei paesi la calma all’interno e una pace durevole all’estero.

In questa grave ora, ho la piena coscienza di tutta la portata della mia decisione e delle mie responsabilità verso l’Onnipotente… Ho tutto esaminato; ho tutto considerato, e ho la coscienza serena di mettermi nella via che il dovere mi indica.

Confido nei miei popoli, che in tutte le tempeste si sono raccolti sempre con unità e fedeltà intorno alla mia Corona, e sono stati sempre pronti ai maggiori sacrifici par la felicità, la grandezza, la potenza della Patria. Confido nel valoroso Esercito austriaco, pieno di entusiasmo e di devozione, e confido nell’Onnipotente, che concederà la vittoria alle mie armi.”

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