Salandra chiede i pieni poteri alla camera

In questi ultimi concitati giorni, a Roma, l’ambasciatore tedesco Von Bulow e il Barone Von Macchio (diplomatico ungherese) hanno fatto l’ultimo tentativo di mediazione contattando il Ministro Sonnino prima e il Presidente del Consiglio Salandra poi. Una bozza d’accordo è stata presentata con ulteriori concessioni rispetto alle proposte precedenti ma ormai sembra che tutto sia arrivato troppo tardi. Gli italiani, al corrente delle trattative con l’Austria-Ungheria ormai sono in attesa di sapere che decisioni prenderà il governo.
La riapertura del parlamento avvenuta oggi è stata storica: applausi ed ovazioni dalle tribune gremite hanno accolto l’ingresso dell’Onorevole Salandra. La votazione si è conclusa con 407 voti favorevoli e 74 contrari.

Di seguito uno stralcio del discorso

“Onorevoli colleghi, sin da quando risorse a unità di Stato, l’Italia si affermò nel mondo delle Nazioni quale fattore di moderazione, di concordia e di pace; e fieramente essa può proclamare di avere adempiuto tale missione con una fermezza che non si è mai piegata neppure dinnanzi ai più penosi sacrifici. Nell’ultimo periodo più che trentennale essa ha mantenuto un sistema di alleanze e di amicizie, dominata precipuamente dall’intento di meglio assicurare per tal modo l’equilibrio europeo, e con esso la pace. Per la nobiltà di quel fine, l’Italia, non soltanto ha tollerato l’insicurezza delle sue frontiere, non soltanto ha subordinato ad esso le sue più sacre aspirazioni nazionali, ma ha dovuto assistere con represso dolore, ai tentativi metodicamente condotti di sopprimere quei caratteri di italianità che la natura e la storia avevano impresso indelebili su generose regioni.”

“L’ultimatum che, nel luglio del 1914, l’impero austro-ungarico dirigeva alla Serbia, annullava di un colpo gli effetti del lungo sforzo, violando il patto che a quello stato ci legava. Lo violava per il modo, avendo omesso, nonché il preventivo accordo con noi, persino un semplice avvertimento; lo violava per la sostanza, mirando a turbare, in danno nostro, il delicato sistema di possessi territoriali e di sfere d’influenza che si era costituito nella penisola balcanica. Ma più ancora che questo o quel punto particolare, era tutto lo spirito animatore del trattato che veniva offeso anzi soppresso; giacché scatenando, per il mondo la più terribile guerra, in diretto contrasto con i nostri
interessi e col nostro sentimento, si distruggeva l’equilibrio che l’alleanza doveva servire ad assicurare; e virtualmente, ma irresistibilmente, risorgeva il problema della integrazione nazionale d’Italia.

“Pur nondimeno per lunghi mesi il Governo si è pazientemente adoperato nel cercare un componimento, il quale restituisse all’accordo la ragione di essere che aveva perduto; quelle trattative però dovevano avere limiti, non solo di tempo, ma di dignità, al di là dei quali si sarebbero compromessi insieme gli interessi e il decoro del nostro Paese. Per la tutela, dunque, di tali supreme ragioni, il Governo del Re si vide costretto a notificare al Governo imperiale e reale dell’Austria-Ungheria, il giorno 4 di questo mese, il ritiro di ogni sua proposta di accordo, la denuncia del trattato d’alleanza e la dichiarazione della propria libertà d’azione. Né, d’altra parte, era più possibile lasciar l’Italia in un isolamento senza sicurtà e senza prestigio proprio nel momento in cui la storia del mondo sta attraversando una fase decisiva.

“In questo stato di cose, considerata la gravità della situazione internazionale, il Governo deve essere anche politicamente preparato ad affrontare ogni maggiore cimento e, col disegno di legge che vi ho presentato, vi chiede i poteri straordinari che gli occorrono. Tale provvedimento è non solo in sé tutto giustificato da precedenti nostri e di altri Stati, quale che sia la forma del Governo onde sono retti; ma rappresenta una migliore coordinazione, se non pure un’attenuazione di quelle facoltà che lo stesso nostro diritto vigente conferisce d’altronde al Governo, allorché preme quella suprema legge che è la salute dello Stato.

“Onorevoli colleghi! Senza jattanza di parole, né orgoglio di spirito, ma gravemente compresi della responsabilità che incombe in quest’ora, noi abbiamo coscienza d’aver provveduto a quanto richiedevano le più nobili aspirazioni e gli interessi più vitali della Patria. Ora, nel nome di essa e per la devozione ad essa, noi fervidamente rivolgiamo il più commosso appello al Parlamento, e anche al di là del Parlamento, al Paese: che tutti i dissensi si compongano, e che su di essi, da tutte le parti, sinceramente, discenda l’oblio.
I contrasti di partiti e di classi, le opinioni individuali, in tempi ordinari rispettabili, le ragioni stesse insomma, che danno vita al quotidiano, fecondo contrasto di tendenze e di principi, devono sparire di fronte ad una necessità che supera ogni altra necessità; di fronte ad una idealità che infiamma più di ogni altra idealità: la fortuna e la grandezza d’Italia.
Ogni altra cosa dobbiamo da oggi dimenticare, e questa sola ricordare: di essere tutti italiani, di amare tutti l’Italia con la medesima fede e col medesimo fervore. Le forze di tutti si integrino in una forza sola, i cuori di tutti si rinsaldino in un solo cuore. Una sola, unanime volontà quindi verso la mèta invocata; e forza e cuore trovino la loro espressione unica viva ed eroica nell’esercito e nell’armata d’Italia e nel Capo augusto che li conduce verso i destini della nuova storia. Viva il Re ! Viva l’Italia!”.

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