L’Italia dichiara guerra all’Impero Ottomano

In Libia i reparti italiani comandati dal governatore generale Giovanni Ameglio hanno ulteriormente ripiegato dai presidi a causa della forte pressione esercitata dalla guerriglia locale che, è palese, è stata fomentata da agenti del governo turco; sembra addirittura che sia giunto in Libia Nury Bey, fratello di Enver Pascià, oltre a notevoli quantità di denaro, fucili e munizioni destinati ad alimentare la ribellione. La decisione del generale Ameglio è stata dettata anche dal fatto che questi si è visto rifiutare da Cadorna i rinforzi richiesti, dato che il Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito non vuole distrarre forze dei fronti di guerra contro l’Austria. E’ inoltre giunta notizia di sopraffazioni delle autorità turche contro cittadini italiani residenti in territorio ottomano come l’aver loro impedito di imbarcarsi per l’Italia, il sequestro di imbarcazioni battenti bandiera italiana, e la proibizione dell’uso di comunicazioni telegrafiche in lingua italiana. La grave situazione venutasi a creare nei rapporti tra Italia e Turchia ha portato il Regio governo ad emanare in data 21 agosto la seguente comunicazione ufficiale:

“Il Governo ha diretto alle Regio rappresentanze all’estero una circolare nella quale espone tutte le vertenze fra l’Italia e la Turchia e che così conclude: “Di fronte a quest’infrazioni patenti a promesse categoriche fatto dal Governo ottomano in seguito al nostro ultimatum, il Regio Governo ha spedito ordine al Regio ambasciatore a Costantinopoli di presentare dichiarazione di guerra alla Turchia”.

Questo il testo della circolare telegrafica italiana:

“Fin dal primo momento della firma del trattato di pace di Losanna (18 ottobre 1912) il Governo ottomano ebbe a violare il trattato stesso. Tali violazioni hanno continuato senza tregua sino ad ora. Il Governo imperiale non adottò mai seriamente misura alcuna perché si arrivasse in Libia alla cessazione immediatamente delle ostilità secondo gliene facevano obbligo i suoi patti solenni; nulla fece il Governo stesso per la liberazione dei prigionieri di guerra italiani. I militari ottomani rimasti in Tripolitania e Cirenaica furono mantenuti sotto il comando degli stessi ufficiali, continuando ad usare la bandiera ottomana, conservando i loro fucili e i loro cannoni. Enver Bey diresse in Libia le ostilità contro l’Esercito Italiano sino alla fine del novembre 1912. Aziz Bey lasciò quella regione con 800 soldati di truppa regolare soltanto nel giugno 1913. Il trattamento che l’uno e l’altro ricevettero rientrando in Turchia prova l’evidenza che i loro atti ebbero il pieno assenso delle autorità imperiali. Dopo la partenza di Aziz Bey continuarono ad arrivare in Cirenaica ufficiali dell’esercito turco; ve ne sono ora oltre un centinaio, dei quali il R. Governo conosce i nomi. Nell’aprile di quest’anno 35 giovani bengasini che Enver Pascià aveva condotto nel dicembre del 1929, contro il nostro volere, a Costantinopoli, dove furono ammessi a quella scuola militare, furono rinviati in Cirenaica a nostra insaputa, nonostante contrarie dichiarazioni. Risulta con certezza che la Guerra Santa del 1914 fu proclamata anche contro gli italiani in Africa. Una missione di ufficiali e di soldati turchi incaricati di portar doni ai capi senussiti in rivolta contro le autorità italiane in Libia, fu recentemente catturata da forze navali francesi. Le relazioni di pace e di amicizia, ché il R. Governo aveva creduto stabilire dopo il trattato di Losanna con il Governo turco, non esistono, per colpa di quest’ultimo, tra i due paesi. Poiché fu costatato essere perfettamente inutile ogni reclamo diplomatico contro le violazioni del trattato, al R. Governo non restava che provvedere altrimenti alla salvaguardia degli alti interessi dello Stato ed alla difesa delle sue Colonie contro le minacce persistenti e contro gli effettivi atti di ostilità da parte del Governo ottomano. Una decisione in questo senso si è resa tanto più necessaria ed urgente in quanto il Governo ottomano ha commesso in tempi recentissimi patenti violazioni ai diritti, agli interessi ed alla stessa libertà di cittadini italiani nell’impero, senza che siano valsi i richiami più energici presentati a tale proposito dal R. ambasciatore a Costantinopoli. Di fronte alle tergiversazioni del Governo ottomano, per quanto riguardava in specie la libera uscita dei cittadini italiani dell’Asia Minore, questi richiami dovettero assumere negli ultimi giorni la forma di “ultimatum”. Il 3 agosto il R. Ambasciatore a Costantinopoli, per ordine del Governo di S. M., diresse al Gran Visir una nota contenente le quattro domando seguenti:

1° che gl’Italiani potessero liberamente partire da Bey Rut;
2° che gl’Italiani di Smirne, essendo impraticabile il porto di Vurla, fossero lasciati partire per la via di Sigazig;
3° che il Governo ottomano lasciasse imbarcare liberamente gl’italiani da Mersina, Alessandretta, Caiffa, Giaffa;
4° che le autorità locali dell’interno desistessero dall’opposizione alla partenza dei regi sudditi che si dirigono al litorale e procurassero invece di facilitare loro il viaggio.

Il 5 agosto, prima che scadesse il termine di 48 ore posto dall’ultimatum italiano, il Governo ottomano, con nota a firma del Gran Visir, accoglieva punto per punto le nostre domande. In seguito a tale solenne dichiarazione, il R. Governo provvide a spedire due navi a Rodi con istruzioni di attendere ordini per andare ad imbarcare i cittadini italiani che da tempo erano rimasti in attesa di rimpatrio nei predetti porti dell’Asia Minore. Ora – da notizie pervenuto dalle autorità consolari americane, cui è stata affidata in varie residenze la tutela degli interessi italiani – è risultato invece che a Beirut l’autorità militare revocò il 9 corrente il permesso di partenza accordato poco innanzi; ed eguale revoca avvenne a Mersina. Fu dichiarato altresì che le autorità militari avrebbero fatto impedimento all’imbarco degli altri nostri connazionali nella Siria. Di fronte a queste infrazioni patenti alle promesse categoriche fatte dal Governo ottomano in seguito al nostro “ultimatum”, il R. Governo ha spedito ordini al R. ambasciatore a Costantinopoli di presentare la dichiarazione di guerra”. L’ambasciatore turco a Roma, Naby Bey, si è recato in visita di congedo da Sonnino prima di partire alla volta di Berlino.

S.M. il Re ha poi firmato un decreto con cui veniva proclamata la libertà religiosa in Libia:

Art. 1° – All’art. 2° del del R. decreto del 17 ottobre 1912 n. 1088 è sostituito al seguente art.2°: Gli abitanti della Tripolitania e Cirenaica continueranno a godere come per il passato la più completa libertà nelle pratiche del culto ottomano. I diritti delle fondazioni pie (vakuf) saranno rispettati come per il passato e nessun impedimento sarà portato alle relazioni dei mussulmani con i loro capi religiosi.
Art. 2°. – L’art. 3° del R. decreto suddetto è abrogato.
Art. 3° – Il presente decreto entrerà immediatamente in vigore”.

Questo il proclama del gen. Ameglio alle popolazioni libiche:

“Voi sapete della pace che il Governo del nostro Gran Re Vittorio Emanuele III, che Iddio glorifichi sempre più, fece con quell’ottomano a Losanna. Dopo quello si riteneva che ogni buon accordo dovesse ristabilirsi fra l’Italia e la Turchia, rimanendo ognuno fedele ai patti stabiliti. Ma non fu cosi, perché il Governo ottomano ha ripetutamente violato il trattato con tutti i mezzi più sleali e indegni di una nazione che si vanti di essere civile. Ha costantemente ingannato la buona fede del Governo Italiano, inviando clandestinamente ai ribelli armi e munizioni ed ufficiali e graduati del suo esercito, nonché emissari propagandisti di ogni odio contro di noi. Ha tergiversato tutte le volte che il Governo del nostro generoso Sovrano che Iddio protegga, volle fare rimostranze. Ha ostacolato con tutte le male arti possibili la penetrazione in queste terre, con la quale speravamo di portare anche voi in brevi anni a quel progresso della vita civile che in passato vi fu sempre negato”.

“Voi tutti avete potuto costatare quanto sia sincero e paterno l’interessamento che il Governo porta al bene dei popoli di Libia con la prova che esso oggi vi dà, non esitando a studiare ed introdurre riforme che, meglio e più di quelle sperimentate in passato rispondano alle vostre tradizioni ed alle vostre tendenze.
Il Governo ottomano, non contento di seminare il male in questo terre, ha creduto di poter perseguitare gli stessi italiani che si trovano nel suo territorio fino ad opporsi al rimpatrio da loro desiderato per le prepotenze e soprusi cui vanno colà soggetti. Un cumulo di menzogne fu la risposta che il Governo ottomano ha dato anche questa volta alle ultime rimostranze di quello italiano. Stanco di quest’indegna condotta del Governo ottomano, il nostro potentissimo Re, che Iddio illumini sempre come ora, ha dichiarato la guerra alla Turchia. Agli abitanti, della Libia, agli uomini d’onore, agli uomini di mente e a quanti amano con sincerità questa terra ed il suo popolo, va la mia parola paterna di concordia nel momento in cui l’Italia con fede della vittoria scende nuovamente in campo contro la Turchia per il rispetto ai trattati e alla causa della giustizia”.

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