Grigorij Efimovič Rasputin

Grigorij Efimovič Rasputin nacque nato il 10 gennaio del 1869 a Prokovskoe, un villaggio presso la cittadina di Tobolsk, in Siberia; ha passato la propria infanzia crescendo nella cultura contadina, rimanendo fino alla fine sostanzialmente analfabeta. Da bambino era irrequieto e turbolento, e tale è rimasto da giovane: dedito all’alcol, rubava e correva dietro alle donne (Rasputin in russo sta per “depravato”). Entrò poi in contatto con una setta religiosa rinnegata dalla Chiesa Ortodossa, la Khlysty; secondo gli adepti di tale setta, per entrare veramente in contatto con Dio, l’uomo deve peccare per potersi pentire e guadagnarsi così il perdono.

Rasputin si affiliò alla setta all’età di diciotto anni e cominciò a vestirsi da monaco autoproclamandosi veggente e guaritore, mostrando grande carisma, anche grazie al suo sguardo penetrante. A diciannove anni sposò Praskov’ja Fëdorovna Dubrovina, dalla quale ha avuto tre figli, continuando però a viaggiare, giungendo nella capitale russa San Pietroburgo, conoscendo personaggi altolocati. Tramite un’amica della Zarina (Alessandra di Hesse), nel 1907 è venuto in contatto con la famiglia imperiale, in un momento di particolare fragilità emotiva dei sovrani. Difatti Alessio, il tanto sospirato erede maschio, si rivelò essere emofiliaco, condizione che lo espone a rischio di morte per emorragia anche per piccoli e banali incidenti ed infortuni. In un’occasione Rasputin è riuscito, non si sa bene come, a bloccare una delle emorragie del piccolo Alessio, cosa che lo ha portato ad ottenere i favori e la considerazione dei sovrani, divenendone consigliere fisso.

Rasputin non ha mai smentito la propria sinistra fama, ed ha continuato a soddisfare i suoi insaziabili bisogni carnali con mole donne aristocratiche (secondo le malelingue anche con la Zarina stessa e le figlie della coppia imperiale). Dall’inizio della guerra il potere di Rasputin è andato aumentando così come i suoi nemici. La sera del 16 dicembre del 1916 il principe Feliks Feliksovič Jusupov lo invitò a cena nel suo palazzo, con la complicità del cugino dello Zar il Gran Duca Dimitrij Pavlovič Romanov, ed altri complici. Al suo arrivo Rasputin cominciò a mangiare e a bere a dismisura, non sapendo che tutto il cibo era avvelenato, ma il veleno non fece effetto; decisero allora di sparargli, ma Rasputin era ancora vivo nonostante i colpi di pistola. Gli uomini del complotto si allontanarono dalla stanza per discutere sul da farsi e mentre ritornarono si accorsero che Rasputin tentava di uscire dalla porta; gli spararono ancora, ma questi ancora respirava; decisero allora di prenderlo a randellate avvolgerlo in una coperta, dopodiché lo gettarono nel fiume Neva nel quale morì annegato.

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